La tradizione teatrale e artistica giapponese, per ovvie ragioni culturali e geografiche, è estremamente lontana dalla nostra, ma presenta particolarità che la rendono estremamente affascinante ed interessante.
Una delle creature sceniche più particolari a riguardo è il teatro Takarazuka, originato da una compagnia teatrale fondata nel 1913 nell’omonima città e composta solamente da donne; questa compagnia, nata come contraltare del teatro Kabuki (composto solamente da attori di sesso maschile), continua ad essere tutt’oggi una delle attrazioni più quotate e ambite specialmente dal pubblico femminile nipponico.
Questa compagnia teatrale negli anni è cresciuta smisuratamente in ogni senso: il teatro Takarazuka infatti ebbe inizio da una compagnia di una dozzina di ragazzine poco più che adolescenti, e oggi la compagnia può vantare ben 420 attrici che lavorano costantemente ed intensamente. Ora come ora la compagnia ha repertori molto variegati, che spaziano dal musical alla trasposizione teatrale di storie tratte dai manga, ma è molto ben conosciuta specialmente per tutte le implicazioni sociali, sessuali e culturali che comporta.
Questo tipo di teatro presenta infatti spesso ambientazioni baroccheggianti, caratterizzate da eccessi di esotismi scenografici, melodrammi, passioni scatenate e ambiguità sessuale ed etnica: il fatto che le attrici interpretino sia ruoli maschili che femminili e che il pubblico di riferimento (anzi, possiamo chiamarlo veramente “fandom”) sia esclusivamente femminile mette in luce come il cross-dressing nella sua accezione teatrale sia strettamente legato a come il pubblico vive i propri innamoramenti platonici ma anche e soprattutto la propria identificazione.
Nel teatro Kabuki infatti il travestitismo scenico è sempre passato strettamente attraverso i legami della convenzione di ciò che caratterizza i ruoli di maschio e femmina, tramite un repertorio di maschere, gesti e trucco che nella tradizione hanno permesso sin dall’inizio allo spettatore di codificare ciò che è maschile e ciò che è femminile. Il teatro Takarazuka ha però delle implicazioni differenti ed estremamente interessanti: da una parte è amatissimo dalle donne perché, per la prima volta e anche se solo sul palcoscenico, è riscontrabile un modello di donna che si comporta non solo come un uomo, ma che è legittimata ad assumerne, seppur nella finzione, l’aggressività e la potenza, dunque caratteristiche che (sebbene comunque in Giappone non manchino figure leader femminili) non sono comunque convenzionalmente e socialmente accettabili dal punto di vista culturale.
Le attrici del Takarazuka dunque permettono al pubblico femminile di identificarsi in personaggi forti e dominanti, e per farlo sono sottoposte ad un lavoro intensivo di preparazione scenica e teorica che ha dei ritmi ed un rigore quasi militari. Dall’altra parte però il teatro Takarazuka porta in scena il modello di uomo ideale per moltissime donne: gentile, romantico, bellissimo in quanto delicato nei tratti, intelligente e sensibile, distaccandosi dal modello maschile canonico e dunque mescolando le carte di quelli che sono considerati essere gli stereotipi di genere.
Spesso da un punto di vista esterno questo tipo di attrazione è stato ricondotto in modo sommario e sbagliato ad un lesbismo latente, ma questo è un aspetto ancora più complesso e affascinante. La sessualità in quanto tale infatti non ha nulla a che fare con questo tipo di attrazione, e i personaggi del Takarazuka sono completamente finti, protagonisti di una creazione fantastica che sta completamente al di fuori di quel mondo reale confinato dalle dimensioni del tempo e dello spazio.
Uno dei meriti delle otoko-yaku, ovvero delle attrici che sono specializzate nell’interpretare parti maschili, è proprio il loro essere mezzo di una catarsi emotiva con cui il pubblico sperimenta ruoli, immedesimandosi in loro, che non gli appartengono, ed è l’elemento più amato e ricercato dai fan in questo tipo di teatro, che permette al pubblico di apprezzare appieno le ambientazioni occidentali dei musical, il trucco scenico pesante ed esagerato e i costumi ricchissimi, fondendo il tutto in un’esperienza di finzione in cui si può scappare e rifugiarsi per affrontare al meglio il mondo che si troverà al di fuori del teatro.
Ciò spiega benissimo anche come ci siano anche diversi uomini che apprezzano il Takarazuka, e per l’esattezza specialmente le otoko-yaku più che le musume-yaku, ovvero le attrici specializzate in ruoli femminili: anche gli uomini infatti vengono assorbiti da questo mondo fittizio, grazie al quale possono momentaneamente abbandonare le rigide convenzioni a cui sono stati sin da sempre abituati.
E’ spontaneo ricollegare il teatro Takarazuka alla cultura shojo, di cui sono arrivati anche in occidente moltissimi prodotti, ossia tutto quell’insieme di intrattenimento e oggettistica destinato alla fruizione di un pubblico femminile, indipendentemente dal contenuto: la sessualità non è prevista, ma l’obiettivo consiste nella fantasia e nell’immedesimazione, ricollegandosi a figure femminili che in ogni caso hanno un aspetto da pre-adolescente, svincolato dunque dall’esposizione di caratteri sessuali femminili legati allo sviluppo e alla fertilità, e collocandosi in una particolarissima via di mezzo che unisce potere e innocenza, consapevolezza e infanzia e, per l’appunto, mascolinità e femminilità.
Uno dei miei tanti sogni nel cassetto è riuscire ad assistere prima o poi ad uno spettacolo di questo tipo di teatro, per poter provare l’emozione di immergermi in una forma di teatro che, per quanto possa sembrare lontana da noi, ha le stesse basi e radici della magia scenica primigenia da cui si sono poi dipanati i principali filoni teatrali che sono giunti a noi.
Voi conoscevate questo tipo di teatro, e se sì, che cosa ne pensate? Se vi va, dite pure la vostra nei commenti!