La cultura giapponese, seguendo le leggi di un’economia già globalizzata, è riuscita perfettamente ad inserirsi nella nostra cultura mediale anche se, come molti ben sanno, la capacità occidentale di interpretarla non è spesso riuscita a comprendere che il suo cartooning e la sua editoria non sono un qualcosa da relegare esclusivamente al settore infantile della popolazione.
Il grado di novità apportato dai manga ha dunque costretto la nostra cultura ad un’ accelerazione nel processo di elaborarla, quasi in risposta alla velocità accresciuta che la società giapponese ha dovuto applicare nell’adeguarsi, durante il periodo post-bellico, alle leggi del mercato occidentale. Ciò ha portato un interscambio culturale che ha fatto conoscere anche all’occidente fenomeni tipici del Sol Levante, tra cui ad esempio il cosplay (in giapponese kosupure), nato tra i ragazzi giapponesi come omaggio e replica delle maschere dei loro eroi di cartone, di carta o di pixel. Sebbene questa prassi stia gradualmente prendendo piede anche in occidente, spesso è ancora una realtà sconosciuta o affiancata al concetto di “carnevalata”, ma in Giappone ha investito la quotidianità metropolitana, rendendo gli stili estremi giovanili delle tipiche espressioni della cultura popolare.
Il kosupure infatti, ovvero il vestirsi come i personaggi preferiti dei videogiochi, degli anime e dei manga (ma anche degli show televisivi e dei gruppi musicali) è un fenomeno che ha da tempo superato i confini nazionali diffondendosi in tutto il mondo con il nome di cosplay, crasi delle parole costume (costume) e play (giocare). C’è anche una versione più estrema denominata kigurumi, che prevede un costume intero con l’aggiunta di guanti e calze coprenti che rivestono completamente il corpo, o l’utilizzo di parrucche eccentriche e costumi integrali. Queste stravaganti figure che praticano il kigurumi o il kosupure per le strade di Tokyo vengono viste come estremamente cool e sono connesse tra loro grazie ad una frenetica attività elettronica: blog, chat, riviste telematiche e gadget tecnologici sono infatti parte importantissima di questi flussi comunicativi di tendenze metropolitane e della rete.
Ne sono un esempio le “ragazze Ganguro”, nate nella seconda metà degli anni novanta e la cui comparsa ha avuto direttamente a che fare con la nascita e lo sviluppo di internet; il loro stile, volutamente eccessivo ed esagerato, prevede capelli biondissimi ossigenati, il volto annerito da molteplici strati di fondotinta
scurissimo e vestiti dai colori fluo e sgargianti. Le Ganguro indirettamente hanno anche scatenato una polemica nei confronti di un personaggio relativo al manga (e alle conseguenti versioni anime e videoludiche) Pokèmon, ovvero il mostriciattolo Jynx. Quest’ultimo, con i suoi capelli biondi e la pelle annerita, era una chiara parodia dello stile Ganguro, ma in occidente la mancanza della conoscenza di questo sostrato culturale ha portato ad interpretare il personaggio in chiave razzista percependolo come un negativo stereotipo delle persone di pelle nera, cosa che ha portato i suoi creatori a cambiare il colore della sua pelle da nero a viola per una più serena esportazione del merchandising Pokèmon in occidente.
La cultura giapponese infatti sta avendo negli ultimi anni un enorme influsso sul marketing internazionale, poiché dal Giappone stanno cominciando a muoversi e a prendere sempre più piede in occidente le reti degli otaku, termine che in italiano potrebbe essere tradotto con “fissati” e che serve ad indicare tutti quegli individui fortemente appassionati di manga, anime e videogiochi e si dilettano nella pratica del cosplay creando spesso da sé i costumi e gli accessori da indossare in occasione degli appositi raduni e feste ad essi dedicati. La prerogativa “giapponista” degli otaku in occidente si è facilmente e armoniosamente unita con le manie degli appassionati di cinema e di letteratura fantastica in generale (basti pensare agli appassionati di Star Trek e ai loro tributi alla serie fatti di orecchie a punta e di conversazioni in klingoniano), cosa che ha generato un enorme flusso di capitali a suon di esportazioni di gadget, oggettistica e costumi per interpretare i proprio beniamini.
Un’ altra reciproca influenza tra mode e fumetti è esemplificata dal fenomeno delle Lolita, sottocultura nipponica ispirata all’era vittoriana al periodo Roccocò le cui declinazioni sono molteplici (e vanno dalle più famose Gothic Lolita alle Sweet Lolita, 60’s Lolita, Punk Lolita etc) e sono caratterizzate da un trucco delicato che rende il viso simile a quello di una bambola di porcellana, ombrellini da passeggio e corsetti. Questo stile è denominato Lolita poiché le ragazze si vestono in modo infantile, il che rende però le esponenti di questa moda più simili all’Alice di Lewis Carroll che alla Lolita di Nabokov in quanto prive di una connotazione sessuale. Nato come il fenomeno Ganguro alla fine degli anni ’90, è popolarissimo in Giappone (al punto da poter trovare abbigliamento Lolita persino nei grandi magazzini), grazie anche alla musica e alle già menzionate idol, di cui abbiamo un esempio in Death Note: il personaggio di Misa Amane infatti, nel manga e nell’anime Death Note è una ragazza diventata molto famosa nel mondo dello spettacolo per il suo modo di vestire in stile Gothic Lolita e, in quanto tale, espressione della rilevanza che hanno personaggi del genere sulla cultura di massa della società giapponese.
Voi cosa pensate del cosplay e delle sue declinazioni occidentali, e come vedete in generale il fenomeno otaku?
Cosplayers, fatevi avanti!
Per chi è interessato ad approfondire l’argomento, suggerisco la bibliografia da me usata per l’articolo:
-Luca Vanzella, Cosplay culture: fenomenologia dei costume players italiani, Tunuè, Latina 2005
-Antonella Giannone, Patrizia Calefato, Manuale di comunicazione, sociologia e cultura della moda Vol. V, Meltemi editore, Roma 2007
-Ornella Kyra Pistilli, Dress Code. Sincretismi, cultura, comunicazione nella moda contemporanea, Castelvecchi editore, Roma 2005